Piccola pausa estiva, e si riparte.
Do' un'occhiata al sito di Flickr su Tai Chi Caledonia 2008 (sì, non mi sono ancora stancato di nominarla!) e scopro foto che qualcuno - credo Ronnie - ha scattato durante le lezioni. Ecco quello che a me piace: vedere le persone che crescono, che entrano nel vivo e fanno propria un'arte.
Nella foto che riporto ci sono Julie e Douglas, due dei "ragazzi" che hanno lavorato con me per quattro giorni sul Baguazhang. Lavorare sulle applicazioni costringe a mettersi in gioco e spesso non è facile accettare di non capire, di fare fatica, di sentirsi impacciati e ciò nonostante continuare a praticare.
Non ricordo i loro nomi, ma ricordo bene l'entusiasmo, la soddisfazione quando la tecnica riesce, l'allegria della pratica quando dopo un po' viene voglia di fare le cose più in scioltezza, e comincia la fase allegra (e spesso più produttiva in termini tecnici) della pratica.
Ho scoperto che l'insegnamento per me è pedagogia, è educazione alla vita. Le arti marziali sono un grande mezzo per crescere. Ho visto molti modi di insegnare e di imparare arti di combattimento, e spesso la strada preferita è quella del dolore e della paura. Molti insegnanti di oggi sono passati per quella strada, e là sono rimasti. Il tempo passa, e può succedere che non porti consiglio.
In Scozia ho visto persone piangere, non tanto per il dolore quanto per la sofferenza sottile che colpisce e si accompagna allo stress: solitudine, delusione dei rapporti, tristezza esistenziale, paura e senso di abbandono, e chi più ne ha... Alla fine della pratica ho sempre visto volti sereni, riconciliati con la vita, con un sorriso e una speranza in più. Mi piace pensare che il lavoro fisico delle nostre discipline sia un'educazione alla consapevolezza.
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