Da un lato la base interrata del tronco e le sue radici, la chioma di dita che si allungano nel terreno per carpirne l'umidità, il nutrimento e i minerali.
Dall'altro c'è il fusto, la chioma e la macchia di rami rametti e foglie, che si espandono nell'aria per cogliere il calore, l'ossigeno e trasformare l'anidride carbonica.
L'Albero è un archetipo antico quanto l'uomo, e ci rappresenta molto da vicino.
Se ne parlava a pranzo con Luca Semenzin, agronomo, ieri dopo un allenamento, e credo abbia ragione quando afferma che anche noi funzioniamo come gli alberi, seguendo il ciclo delle stagioni.
L'albero in primavera ed estate fa lavorare il tronco, la chioma e le foglie, espandendosi e crescendo armonicamente verso l'alto (secondo le energie delle stagioni).
L'albero in autunno e inverno fa lavorare invece le radici, si espande sotto e diventa grande e forte, lasciando che il gelo tenga fermo il resto e dedicandosi a questo lavoro invisibile, che per noi equivale all'immobilità invernale della natura.
L'uomo non è diverso. In inverno il nostro rene si ricarica, ma ha bisogno di una attività consona per recuperare, una attività introspettiva, interna, di revisione, non di espansione.
Seguire il tempo è la nostra più grande medicina. Non svuotare il rene, non esasperarlo, ma lasciarlo lavorare in pace. Il buio aiuta questo processo.
Silenzio, buio, pace, immobilità.
Il migliore augurio per questa stagione.
Nessun commento:
Posta un commento