domenica 3 febbraio 2008

L'abito bianco da Gongfu

Scrivevo qualche tempo fa del concetto dei debiti di riconoscenza. Stavo tirando fuori oggi i miei abiti da Kungfu, come ogni tanto è giusto fare, per rivedere le cinture, le maglie, gli abiti, i guantoni, le protezioni e così via. Giovedì prossimo avrò una serata di Baguazhang con amici e così cercavo un abito particolare per la dimostrazione e per la lezione. In genere oggi mi alleno con una tuta, ma in certe occasioni ci vuole l'abito.

L'abito, il Kungfu Chuan, il "kimono" da Kungfu (quando non si sapeva neanche come si chiamasse). Ricordo per anni quanto ho sudato in abiti di cotone nero grezzo, da strizzare a fine serata, che addirittura ammuffiva da quanta acqua c'era dentro se lo lasciavo in borsa. Oppure quando il sudore si congelava sulla schiena nella per sempre mitica "Tana dei Dragoni" di via Somalia a Milano, durante le sterminate giornate di allenamento, perchè non c'era riscaldamento in quella sala enorme sopra il garage, e costava troppo, quindi meglio praticare senza pause, così ci si scaldava anche in gennaio.

Gli abiti, come tutti gli oggetti, hanno il potere di rimandarci con la memoria a tempi passati. Ed ecco che, mentre aprivo i cartoni, in mezzo alle giacche nere con i bottoni a rana e l'immancabile collettino alla coreana (che Chen Man Ching odiava tanto perchè gli ricordava la schiavitù cinese), ai pantaloni a volte diventati "all'acqua alta" causa i numerosissimi lavaggi, eccoti saltare fuori un bellissimo abito bianco, autentico cinese, da wushu. E' di quella stoffa impalpabile, che cade bene, che in movimento fa sempre la sua figura.

Quell'abito bianco mi è stato regalato da un caro amico, un eccellente maestro di arti marziali cinesi, che un giorno a Roma, poco prima di un mio seminario di Baguazhang, raccolse al volo una mia battuta ("Mannaggia, non ho portato neanche l'abito da dimostrazione") e mi accompagnò dritto dritto in un negozio nel centro di Roma e me lo regalò, con sua soddisfazione e mio grande imbarazzo, ma anche una certa gioia.

Rivedere oggi quell'abito mi ha fatto rivivere tutta la storia, le belle emozioni di quel momento. E' stato un piccolo, grande momento di felicità, nel ripensare ai gesti che nascono dal cuore e che, quando sono così così spontanei, si apprezzano ancora di più. Certo, senza attaccamento, ma con vera, libera gratitudine.

Come si dice a Roma in certe scuole: Pai Sifu!

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