martedì 24 gennaio 2012

Il senso della "Mano Vuota"


Conosco Bruno Ballardini da almeno vent'anni. Eravamo casualmente entrati in contatto grazie agli storici "Quaderni d'Oriente", dove pubblicai qualche bell'articolo e foto di Baguazhang. Giovane istruttore di belle speranze, scendemmo a Roma e fummo a cena con il mio primo maestro, Stefano Bellomi, e cenammo per la prima volta con Sifu Gianfranco Russo ed altre interessanti personalità. 

E' stato un piacere conoscere e comunicare con questa persona intelligente, di cultura e piena di cose da condividere, come il progetto della scuola di Qigong con un noto maestro taoista, o le nottate con il M.o Tamburelli a vedere i filmati in bianco e nero di Ueshiba, o le lunghe chiacchierate notturne con Edit, che spegneva i monitor solo con la sua presenza.

E' una parte della mia esperienza marziale - quella di "uscire dagli schemi e guardarsi attorno per capire" che non ho mai dimenticato, per la sua intensità e per le belle cose che si sono sedimentate dentro negli anni. Ho sempre rispettato questa anima lunga (intesa nel senso di alta e magra), proveniente da una lunghissima ed intensa esperienza giapponese, che alla fine parlava delle stesse qualità che io ricercavo nella mia esperienza cinese, ma essenzialmente umana e marziale.

Begli incontri, che fanno la differenza. A distanza di anni, e senza aver più avuto il piacere di rivederlo di persona, trovo che Bruno ha saputo distillare dalla sua penna acuta e forbita un articolo che mi rappresenta.

Lo condivido con voi. Spero vi ci ritroviate. Le abilità di un vero guerriero si adattano al contesto e al momento, esattamente come gli animali, anche quelli domestici, ci insegnano a fare.

PS. Bruno Ballardini non è solo maestro di arti marziali, ma noto scrittore, docente universitario e uomo di comunicazione a tutto tondo. 
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Questo post è stato pubblicato da Bruno Ballardini il giorno lunedì 23 gennaio 2012 alle ore 19.25 su Facebook.
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Fino adesso il karate mi è servito nelle situazioni di conflitto. Quando occorreva reagire a un attacco, anche semplicemente psicologico. Mi è servito in termini strategici non fisici, beninteso. La vita è una guerra: si vis pacem para bellum. È la stessa ottica dei samurai. Ma credo che si faccia un lavoro inutile se si arriva a concepire tutta la vita in questo modo.

Intendo dire che dopo aver sperimentato per anni quella condizione di perenne allerta che si usa per allenarsi anche fuori del tatami (la stessa per cui i maestri sono sempre pronti a parare un attacco improvviso perché non fanno che pensare a quello giorno e notte e quindi quando arriva se l'aspettano), penso che la mia gatta sia più avanti di loro.

E' una perfetta macchina da guerra. Ma solo se serve. Cioè non passa il suo tempo a "prepararsi ad un attacco". È perfettamente rilassata e non ci pensa proprio. Ma se arriva il momento, scatta in un nano-secondo e reagisce con assoluta efficienza ed efficacia. Questo è il più alto livello di maestria che io abbia mai visto.

Mi sento un idiota di fronte a lei. Dopo aver frequentato Hiroshi Shirai, Taiji Kase, e successivamente Kenji Tokitsu, dopo essere stato onorato dell'amicizia di Iwao Yoshioka, di Katsutoshi Mikuriya, e altri maestri, ho fatto mio un metodo di allenamento continuo che consiste nel pensare costantemente alle direzioni da cui può provenire un attacco, osservando la posizione delle persone vicine in autobus, di chi incrocio camminando per strada, perfino degli amici mentre parlo con loro. Visualizzo in un attimo che tipo di attacco potrebbero portare con le braccia o con le gambe. E coltivo la consapevolezza della mia posizione, delle possibili contro reazioni e delle vie d'uscita. Ma non si può andare avanti così. Anche quando sono diventato un insegnante maturo e questo esercizio è sfumato in sottofondo mi sono reso conto che in realtà questo lavorio mentale, sia pure in background, continua sempre. Inconsapevolmente.

Poi, un giorno, in una pausa delle mie scritture, l'occhio mi è caduto sulla mia gatta. Ho visto come se ne sta tutto il giorno rilassata e senza alcuna forma di pensiero. Altro che zazen... E guardandola ho avuto un'illuminazione. Devo proprio aver fatto un'espressione buffa perché lei ha drizzato le orecchie e mi ha guardato in modo interrogativo. Poi mi ha strizzato gli occhi (lo fanno con tutti e due gli occhi a differenza di noi umani che siamo scarsi anche nei sentimenti) con affetto infinito anche senza bisogno di capire cosa mi passasse per la testa.

In quel momento ho capito che non si può concepire tutta la vita come una guerra, come un eterno confronto. Io non ho nulla da dimostrare, non mi interessa confrontarmi con nessuno in termini agonistici. Dico, nella vita comune. Tantomeno nel karate: so tirare di pugno ma mi auguro di non doverlo usare mai. Perché non c'è nulla di più orribile della guerra, del sangue. Di due persone che litigano inutilmente, come accade la maggior parte delle volte. E lo dico da guerriero non da pacifista. Io non sono mai stato un pacifista. Perfino la mia Lulù è una "pacifista con le unghie". Intendo dire che la vita è una cosa troppo breve e delicata per pensare solo al contrasto, allo scontro. Se è necessario ci si pensa. Ma solo in quel momento.

Per questo forse da quest'anno diminuirò drasticamente il mio karate e mi dedicherò con più attenzione agli esercizi per stare bene. Uno dei miei due maestri di Qi Gong, tanti anni fa, mi ha detto: "Ma che cos'è quell'espressione ingrugnata? Sorridi! Ti fa bene!". Io che venivo dalle arti marziali giapponesi mimavo senza rendermene conto il cipiglio da samurai che hanno tutti i maestri con cui sono stato. Poi ho incontrato Higa, che sorrideva e mi sembrava assurdo per uno che fa karate. Poi ho incontrato i maestri cinesi che attribuiscono al sorriso addirittura l'importanza di una medicina preventiva. E infine ho osservato Lulù ed ho scoperto che anche lei sorride, sia pure sotto i baffi.

Allora non c'è tempo da perdere. 34 anni di arte marziale a cosa sono serviti? A prepararsi a cosa? Ad uno scontro che non avverrà mai? E perché dovrebbe esserci uno scontro? E poi se avverrà siamo sicuri che tutto l'allenamento che abbiamo fatto servirà a qualcosa in quella specifica ed imprevista occasione? E poi, è veramente utile saper tirare di pugno? Non si guadagna di più a non pensare a nulla, a meditare, anzi a contemplare la vita come fa la mia gatta?

I padri fondatori delle nostre discipline, alla fine di una vita riconoscevano che il valore più grande è cercare (o creare) l'armonia nelle cose e fra le persone. Ho passato una vita a studiare il nemico per sconfiggerlo. C'era sempre qualcosa o qualcuno da scovare e combattere. Poi improvvisamente ho scoperto che fuori di me non c'era nessun nemico. Non c'è nessuno che possa farmi del male a meno che io non lo consenta (o crei le condizioni per cui possa farlo). Quindi se c'è ancora un nemico da qualche parte, sta dentro di me.

Ma sbirciando la mia gatta, capisco che in fondo anche questa è un'idea sbagliata. La mia gatta non ha nessun IO interno da combattere. E' in una condizione naturale e perfetta di vuoto mentale, Mu. E grazie a questa attitudine è pronta ad accogliere qualunque cosa, sia bella che brutta. Risparmia le energie. Si allena lo stretto indispensabile (molto poco, devo dire). Prima di tutto, pensa a star bene, a non pensare a niente inutilmente, a restare aperta a nuove esperienze e scoperte.

Ho iniziato l'anno facendo un inchino alla mia gatta, come si usa fare al cospetto di un Maestro. E ho deciso che da quest'anno non terrò più il mio pugno chiuso, a simulare un pieno che non c'è. La mia mano è vuota. Tanto vale aprirla.

Bruno Ballardini

1 commento:

Anonimo ha detto...

Miao!