martedì 24 giugno 2008
Note sul combattimento di Baguazhang
A distanza ravvicinata l’utilizzo dei palmi e del corpo permette di svincolarsi da prese, bloccaggi e leve articolari. La cosa importante, nello studio delle tecniche e poi del combattimento, è di non confondere le tecniche a breve distanza con quelle a media e lunga distanza, dove vigono altri principi. Questo è un punto critico per molti praticanti di forme. Il rischio è di muoversi inutilmente.
La linea centrale del corpo umano è anche la linea principale dove sono allineati i bersagli sensibili dell’avversario. A partire dalla sommità della testa fino ai genitali, è sulla linea centrale la linea del ko in una situazione da strada. Ben vengano i diversivi sulle costole o sulle gambe o leve sulle braccia, ma Zhong Men rimane la strada primaria, da ricercare sempre.
Continuità e potenza piena del corpo: questi sono gli elementi che permettono ad un combattente di essere efficace ed incisivo nel suo attacco. L’attacco deve essere portato in una lunga serie di continue esplosioni senza interruzione. Per fare questo occorre avere fiato, potenza, continuità e esperienza sulla materassina. E’ il concetto di Lian Huan Zhang.
Nel Baguazhang il concetto di palmo è esteso fino alla spalla, quindi l’uso che se ne fa è spesso allargato non solo alla mano ma all’uso del braccio intero e questo richiede un grande uso del corpo. L’uso di Pi Zhang (palmo che taglia) ricorda i movimenti di una scimmia ed è riscontrabile quando si usano posture estese. Sono molto efficaci quando occorre tenere a bada più avversari, usando una postura bassa e passi rapidi.
Il numero di applicazioni totali che noi conosciamo non è importante. E’ invece essenziale saperle applicare, fossero anche solo due. Si dice che Wang Shujin avesse la maestria in una decina di tecniche, e che con quelle se la sia sempre cavata egregiamente. Per essere maestri di una applicazione occorre avere una qualità nel corpo molto densa, che si ottiene con il Nei Gong.
Una volta che il corpo è forte, occorre che anche la mente sia forte, perché un corpo forte può non reggere il peso. Una mente forte è una mente che è chiara, lucida, serena e centrata, consapevole e determinata. La meditazione sul Dantian e quella in piedi sono molto importanti non solo per il corpo, quindi, ma per la mente.
La potenza nasce dal radicamento e dalla fluidità continua del movimento, sostenuto dal Qi. Cosa vuol dire? Che per andare avanti bisogna indietreggiare, per alzarsi bisogna scendere e per colpire bisogna tirare. Mantenere la continuità e la potenza nel movimento si dice “avere Qi”. Cerchiamo di ricordarlo quando pratichiamo a due persone, specie quando non ce la facciamo più. E’ lì che raccogliamo i frutti del nostro lavoro.
venerdì 13 giugno 2008
Adattarsi
Il tempo e le condizioni metereologiche in Italia sono molto cambiate da quando ero bambino. Ancora prima del 2000 era possibile trascorrere in infradito e camicia aperta un lungo periodo, da maggio a settembre inclusi, e non ho ricordo di aver mai usato maglioni o pantaloni lunghi per mesi.
Adesso è diverso, il carattere delle estati nel nord-est italiano è molto piovoso, quasi monsonico, con temporali frequenti, quasi ogni sera la pioggerellina che chiude la giornata, nuvoloni bassi che oscurano il cielo e l'umore che ne fa le spese, oscillando tra le temperature al sole di 30 gradi e quelle della pioggia ormai sotto i 20.
Ovviamente non è il massimo, ma bisogna anche saper vedere i lati positivi. Adattarsi serve.
Il primo è che stanno fiorendo fiori che una volta sarebbero morti subito per il troppo caldo, come la mia passiflora sul terrazzo, che per la prima volta ha fatto boccioli e fiori bellissimi, e le rose antiche di Laura (mia moglie).
Il secondo è che nelle aziende si lavora meno male: se fuori piove, non c'è desiderio di scappare fuori, le temperature restano buone per la giacca e la camicia, e tutto sommato si è più concentrati e produttivi.
Il terzo è che ci si allena meglio. Con il fresco si suda meno, si soffre meno e si respira meglio. La temperatura aiuta a non sentirsi stanchi e questo è un piacevole diversivo rispetto agli allenamenti estivi sotto il solleone.
Il Tao insegna che ogni cosa ha un suo senso e viene per il bene. Nulla è in sè buono o cattivo, e il tempo di queste ultime estati insegna che se vogliamo vivere bene, positivamente, è necessario sapersi adattare.
Adattarsi è un processo attivo, dinamico, in cui si deve uscire rapidamente dal fastidio iniziale e si decide attivamente di cercare i vantaggi, le opportunità, l'allegria e le novità che un meteo così, con tante nuvole e poco sole, ci presentano.
E' un piccolo spostamento di prospettiva, ma, come imparo ogni giorno, rappresenta chilometri di spostamento nel medio o lungo periodo. Allenarsi al cambiamento è il tema di fondo del Baguazhang, e anche se non parlo di tecniche, questo è uno dei principi più importanti.
Baguazhang non ha forma, la vita è Baguazhang, camminare gli otto passi all'interno (e all'esterno) nei nove palazzi, gestire le otto direzioni come gli otto venti. Non soffia mai buon vento per chi non ha direzione, e non esiste porto sicuro per chi non sa dove andare.
Decidere la nostra direzione è essenziale. Poi potremo cambiarla, aggiustarla, adattarla. Il pericolo più grande è di non saper dove andare e lasciare che gli eventi ci guidino.
Quando camminiamo in cerchio e pratichiamo Baguazhang, sappiamo sempre dove andiamo? Cominciamo da qui.
domenica 8 giugno 2008
Tai Chi Caledonia 2008, 11-18 luglio 2008 in Scozia
Dal 1996 Tai Chi Caledonia è l'Appuntamento con la a maiuscola per chi vuole conoscere il Taijiquan e il Nei Jia in Europa. Questo avvenimento creato e organizzato da Ronnie Robinson e Bob Lowey con il supporto di un ottimo staff (tra cui l'impagabile Karen) ha collezionato nei suoi primi 13 anni di vita una serie di plus non indifferenti, che cerco di riassumere di seguito.
1. La qualità dell'insegnamento
Accanto allo staff di insegnanti, selezionati tra i più competenti, più conosciuti e più interessanti in Europa, viene invitato ogni anno un personaggio di fama internazionale, che ha lasciato un segno importante nel mondo del Kung Fu. Nelle precedenti edizioni è stato possibile parlare e incrociare le braccia con William C.C. Chen, caposcuola del Taijiquan, ad esempio, o con Kumar Frantzis, famoso allievo di grandi maestri e autore di libri storici importanti; con Peter Ralston, campione di Lei Tai e Taijiquan; con Jan Silberstorff, caposcuola di Chen Taijiquan in Europa; oppure praticare Taijiquan e Qigong con Kathy Cheng (figlia del grande maestro Chen Man Ching), lavorare nel Qigong con Roger Jahnke o James McRitchie, entrambi autori di ottimi libri sul Qigong. E questo per non citarne che solo alcuni. Quest'anno, a grande richiesta, torna Sam Masich, allievo prediletto del famoso maestro Liang Shou-you, uno dei più grandi esperti di Nei Jia Gong Fu di Cina.
2. Il clima dell'incontro
Siamo in un campus universitario, nella Spittal Hill dell'università di Stirling, un ambiente di cultura in uno scenario naturale stupendo, tra coniglietti e paperette, laghetti e colline verdi-blu piene di querce secolari, sotto il Wallace Memorial di Braveheart. Lo scambio tra insegnanti e allievi è tra i più liberi e informali che ci siano. Lo staff è assolutamente disponibile ad assecondare tutte le richieste possibili, ed è dotata di quel "cuore caldo" che solo gli scozzesi sanno dare ai loro ospiti.
3. La funzionalità dell'insegnamento
Da questo incontro ognuno porta a casa molto. Non solo in termini di ricordi o di acquisti, ma per la propria pratica. Ci sono microcorsi di un'ora durante il fine settimana che permettono di scoprire cosa ci interessa davvero o di entrare per un'ora in un mondo che non conosciamo con insegnanti molto preparati. Poi, nei corsi settimanali, abbiamo quattro ore il mattino e quattro il pomeriggio per quattro giorni di fila per imparare due "main course" per bene e in profondità.
4. Crescita tecnica e personale
Dal confronto con gli altri partecipanti scaturiscono quasi sempre nuove amicizie, contatti, scambi tecnici e di informazioni, amori e ... insomma tutto quello che serve per capire meglio la nostra pratica. Poi, accanto a questo, le serate davanti ad un buon bicchiere servono a chiacchierare e a conoscersi, a scambiare conoscenze e magari anche contenuti più profondi. Il clima molto rilassato lo permette, ed è un momento davvero sereno, meglio approfittarne!
5. Convivialità
Ogni sera, e spesso anche durante il giorno, si organizzano avvenimenti spontanei nei vari chalet che compongono lo Spittal Hill. Chi suona la chitarra, chi canta, chi tiene spettacolini, chi offre semplicemente dell'ottimo vino e dei formaggi, chi porta la birra, chi ti accoglie con un caldo "hiia!" e da lì la serata comincia. Poi ci sono mille avvenimenti durante la settimana, per cui tutto tutto da vivere.
Scrivo questo perchè partecipare a questi incontri mi hanno permesso di crescere moltissimo a livello tecnico e personale. C'è un impegno economico da affrontare per i costi in sterline e per il volo (Ryan Air porta a Glasgow Prestwick direttamente da molto aeroporti italiani), ma sono sempre convinto, 13 anni dopo la "prima", che ne vale assolutamente la pena. Si ritorna con occhi diversi e con un'altra idea del Taijiquan o del Neijia.
Per maggiori informazioni cliccare su Tai Chi Caledonia 2008
Seeya there! (Nella foto: maestro Wang Hai-jun in Tuei Shou a TCC)
1. La qualità dell'insegnamento
Accanto allo staff di insegnanti, selezionati tra i più competenti, più conosciuti e più interessanti in Europa, viene invitato ogni anno un personaggio di fama internazionale, che ha lasciato un segno importante nel mondo del Kung Fu. Nelle precedenti edizioni è stato possibile parlare e incrociare le braccia con William C.C. Chen, caposcuola del Taijiquan, ad esempio, o con Kumar Frantzis, famoso allievo di grandi maestri e autore di libri storici importanti; con Peter Ralston, campione di Lei Tai e Taijiquan; con Jan Silberstorff, caposcuola di Chen Taijiquan in Europa; oppure praticare Taijiquan e Qigong con Kathy Cheng (figlia del grande maestro Chen Man Ching), lavorare nel Qigong con Roger Jahnke o James McRitchie, entrambi autori di ottimi libri sul Qigong. E questo per non citarne che solo alcuni. Quest'anno, a grande richiesta, torna Sam Masich, allievo prediletto del famoso maestro Liang Shou-you, uno dei più grandi esperti di Nei Jia Gong Fu di Cina.
2. Il clima dell'incontro
Siamo in un campus universitario, nella Spittal Hill dell'università di Stirling, un ambiente di cultura in uno scenario naturale stupendo, tra coniglietti e paperette, laghetti e colline verdi-blu piene di querce secolari, sotto il Wallace Memorial di Braveheart. Lo scambio tra insegnanti e allievi è tra i più liberi e informali che ci siano. Lo staff è assolutamente disponibile ad assecondare tutte le richieste possibili, ed è dotata di quel "cuore caldo" che solo gli scozzesi sanno dare ai loro ospiti.
3. La funzionalità dell'insegnamento
Da questo incontro ognuno porta a casa molto. Non solo in termini di ricordi o di acquisti, ma per la propria pratica. Ci sono microcorsi di un'ora durante il fine settimana che permettono di scoprire cosa ci interessa davvero o di entrare per un'ora in un mondo che non conosciamo con insegnanti molto preparati. Poi, nei corsi settimanali, abbiamo quattro ore il mattino e quattro il pomeriggio per quattro giorni di fila per imparare due "main course" per bene e in profondità.
4. Crescita tecnica e personale
Dal confronto con gli altri partecipanti scaturiscono quasi sempre nuove amicizie, contatti, scambi tecnici e di informazioni, amori e ... insomma tutto quello che serve per capire meglio la nostra pratica. Poi, accanto a questo, le serate davanti ad un buon bicchiere servono a chiacchierare e a conoscersi, a scambiare conoscenze e magari anche contenuti più profondi. Il clima molto rilassato lo permette, ed è un momento davvero sereno, meglio approfittarne!
5. Convivialità
Ogni sera, e spesso anche durante il giorno, si organizzano avvenimenti spontanei nei vari chalet che compongono lo Spittal Hill. Chi suona la chitarra, chi canta, chi tiene spettacolini, chi offre semplicemente dell'ottimo vino e dei formaggi, chi porta la birra, chi ti accoglie con un caldo "hiia!" e da lì la serata comincia. Poi ci sono mille avvenimenti durante la settimana, per cui tutto tutto da vivere.
Scrivo questo perchè partecipare a questi incontri mi hanno permesso di crescere moltissimo a livello tecnico e personale. C'è un impegno economico da affrontare per i costi in sterline e per il volo (Ryan Air porta a Glasgow Prestwick direttamente da molto aeroporti italiani), ma sono sempre convinto, 13 anni dopo la "prima", che ne vale assolutamente la pena. Si ritorna con occhi diversi e con un'altra idea del Taijiquan o del Neijia.
Per maggiori informazioni cliccare su Tai Chi Caledonia 2008
Seeya there! (Nella foto: maestro Wang Hai-jun in Tuei Shou a TCC)
sabato 7 giugno 2008
Stereotipi delle arti marziali
Nella pratica quotidiana, arte marziale significa applicazione pratica, e al contempo continua dialettica, confronto, ricerca, scambio, pratica.
E' stato solo quando ho cominciato a lasciare la "forma" per cercare il "contenuto" che ho scoperto gli stereotipi, le mentalità ristrette e le chiusure dei praticanti dell'arte. Sì perchè il limite non è nell'arte ma in chi la pratica.
Nel corso degli anni e degli stage mi sono imbattuto in alcuni miti sul combattimento nelle arti marziali cinesi e giapponesi. Strada facendo ne ho collezionati tanti, alcuni umoristici, alcuni drammatici, tutti comunque molto interessanti e divertenti.
E' davvero un problema di moltissimi praticanti il fatto di studiare forme e sequenze, Tao Lu, farne una scorpacciata enorme, cambiare maestro e palestra, investire anni e soldi e passione per poi trovarsi punto a capo quando le tecniche servono nella realtà,o anche solo alla verifica.
Non è una bella sorpresa, e il risveglio spesso spinge a lasciare le arti marziali perchè ci si sente traditi. Questo è il vero dramma secondo me. Le arti marziali sono uno stupendo cammino di crescita fisica e personale, se vengono studiate e comprese nel modo corretto.
Una volta pensavo che fossero solo gli stili interni a soffrire di questo. Oggi vedo che tutte le arti marziali, persino quelle più note per la praticità, hanno lo stesso problema, e sempre per questione di marketing.
Ho una teoria: fa più danni un camionista arrabbiato che un praticante di cinque anni di esperienza marziale. Se questa teoria è vera, dobbiamo riconsiderare cosa abbiamo fatto in quei cinque anni.
Ho fatto una lista - non completa, è solo un insieme di esempi - dei diversi approcci. Esistono stereotipi forti nella nostra cultura occidentale delle arti di combattimento. Siccome in trent'anni ne ho viste tante, ecco l'elenco - non completo - dell'approccio al combattimento.
Per fortuna non tutti i praticanti hanno questo approccio, ma in genere direi che almeno la maggioranza si, e dentro mi ci metto anch'io!
Dunque, ecco l'elenco... cominciando dagli stili interni, che sono i più mistici, così facciamo prima.
- Chi viene dagli stili interni:
si aspetta che un giorno il Qi esploda e lo trasformi nell'incredibile Hulk
pensa che l'allenamento fisico e la forza fisica non siano necessari
pensa che lo sviluppo del Qi sia contrario all'uso della forza fisica
pensa che toccare i punti mortali dia un risultato immediato
crede che il combattimento nasca da solo dalle forme
pensa che più forme pratica e più sarà efficace
crede che esistano tecniche segrete
- Chi viene dalla pratica sportiva considera tecniche vietate, colpi proibiti, zone protette (genitali, viso, ecc.).
- Chi viene dalla pratica delle "forme" non ha idea di quello a cui servono le tecniche, oppure ne ha un'idea, di rado verificata, quasi mai allenata.
- Chi viene dalla Boxe tende a pensare che con i guantoni o a mani nude sia la stessa cosa.
- Chi conosce il Qinna o l'Aikido tende a cercare la presa.
- Chi pratica arti di lotta tende a cercare il contatto e dimentica i pugni
- Chi pratica Wushu afferma che le tecniche sono micidiali ma tende concretamente a evitare il combattimento.
- Chi pratica Sanda tende a cercare la tecnica che porta più punti, e si espone al rischio.
- Chi non ha molta esperienza si ferma a vedere il risultato della prima tecnica e le prende.
- Chi non è abbastanza "cattivo" tende a prenderle, perchè non è capace di fare del male davvero.
- Chi è troppo sicuro di sè, prima o poi trova qualcuno che lo ferma.
- Chi non pratica in coppia dice che non vale quando lo colpiscono.
- Chi non è abituato a combattere, cade vittima dei suoi pensieri.
- Chi è bravo a combattere snobba gli altri aspetti dell'arte
- Chi viene dal combattimento di strada ama portare a fondo i colpi
Se vogliamo aggiungerne altre...
E' stato solo quando ho cominciato a lasciare la "forma" per cercare il "contenuto" che ho scoperto gli stereotipi, le mentalità ristrette e le chiusure dei praticanti dell'arte. Sì perchè il limite non è nell'arte ma in chi la pratica.
Nel corso degli anni e degli stage mi sono imbattuto in alcuni miti sul combattimento nelle arti marziali cinesi e giapponesi. Strada facendo ne ho collezionati tanti, alcuni umoristici, alcuni drammatici, tutti comunque molto interessanti e divertenti.
E' davvero un problema di moltissimi praticanti il fatto di studiare forme e sequenze, Tao Lu, farne una scorpacciata enorme, cambiare maestro e palestra, investire anni e soldi e passione per poi trovarsi punto a capo quando le tecniche servono nella realtà,o anche solo alla verifica.
Non è una bella sorpresa, e il risveglio spesso spinge a lasciare le arti marziali perchè ci si sente traditi. Questo è il vero dramma secondo me. Le arti marziali sono uno stupendo cammino di crescita fisica e personale, se vengono studiate e comprese nel modo corretto.
Una volta pensavo che fossero solo gli stili interni a soffrire di questo. Oggi vedo che tutte le arti marziali, persino quelle più note per la praticità, hanno lo stesso problema, e sempre per questione di marketing.
Ho una teoria: fa più danni un camionista arrabbiato che un praticante di cinque anni di esperienza marziale. Se questa teoria è vera, dobbiamo riconsiderare cosa abbiamo fatto in quei cinque anni.
Ho fatto una lista - non completa, è solo un insieme di esempi - dei diversi approcci. Esistono stereotipi forti nella nostra cultura occidentale delle arti di combattimento. Siccome in trent'anni ne ho viste tante, ecco l'elenco - non completo - dell'approccio al combattimento.
Per fortuna non tutti i praticanti hanno questo approccio, ma in genere direi che almeno la maggioranza si, e dentro mi ci metto anch'io!
Dunque, ecco l'elenco... cominciando dagli stili interni, che sono i più mistici, così facciamo prima.
- Chi viene dagli stili interni:
si aspetta che un giorno il Qi esploda e lo trasformi nell'incredibile Hulk
pensa che l'allenamento fisico e la forza fisica non siano necessari
pensa che lo sviluppo del Qi sia contrario all'uso della forza fisica
pensa che toccare i punti mortali dia un risultato immediato
crede che il combattimento nasca da solo dalle forme
pensa che più forme pratica e più sarà efficace
crede che esistano tecniche segrete
- Chi viene dalla pratica sportiva considera tecniche vietate, colpi proibiti, zone protette (genitali, viso, ecc.).
- Chi viene dalla pratica delle "forme" non ha idea di quello a cui servono le tecniche, oppure ne ha un'idea, di rado verificata, quasi mai allenata.
- Chi viene dalla Boxe tende a pensare che con i guantoni o a mani nude sia la stessa cosa.
- Chi conosce il Qinna o l'Aikido tende a cercare la presa.
- Chi pratica arti di lotta tende a cercare il contatto e dimentica i pugni
- Chi pratica Wushu afferma che le tecniche sono micidiali ma tende concretamente a evitare il combattimento.
- Chi pratica Sanda tende a cercare la tecnica che porta più punti, e si espone al rischio.
- Chi non ha molta esperienza si ferma a vedere il risultato della prima tecnica e le prende.
- Chi non è abbastanza "cattivo" tende a prenderle, perchè non è capace di fare del male davvero.
- Chi è troppo sicuro di sè, prima o poi trova qualcuno che lo ferma.
- Chi non pratica in coppia dice che non vale quando lo colpiscono.
- Chi non è abituato a combattere, cade vittima dei suoi pensieri.
- Chi è bravo a combattere snobba gli altri aspetti dell'arte
- Chi viene dal combattimento di strada ama portare a fondo i colpi
Se vogliamo aggiungerne altre...
martedì 3 giugno 2008
lunedì 2 giugno 2008
La maestria nel Qigong
Ho scritto quanto segue in uno stato di assoluta consapevolezza e senza utilizzare alcuna sostanza alterante (!). Scherzi a parte, è vero che la pratica del Qigong permette di cambiare lo stato della mente e del corpo, e di conseguenza l'espressione a parole di certe sensazioni diventa complessa. Quanto segue è esattamente la sensazione che provo ogni volta che pratico. Ne scrivo allo scopo di permettere al lettore di orientarsi nel labirinto interno delle emozioni durante la pratica. Attendo vostre considerazioni al proposito.
Il vero Qigong inizia quando:
Quando riusciamo a sentire il canto degli uccellini intorno a noi, a lasciarlo vivere nelle nostre menti e a gioire del fatto che li stiamo ascoltando.
Quando riusciamo ad accorgerci dei profumi dei fiori e dell'erba quando pratichiamo, e questo diventa una piacevole, sottile presenza che ci accompagna.
Quando percepiamo il calore del sole sulla pelle e sul corpo, la brezza fresca della sera, le zampette dei moscerini e delle mosche, e non ce ne curiamo ma le sentiamo.
Quando i nostri occhi guardano avanti e vedono colori, forme, immagini che ci stimolano all'armonia e alla serenità, al sentirci parte del tutto.
Quando la nostra mente è così contenta di essere immersa nel mondo che non sente più distinzione tra io e mio, ma si immerge con felicità nel flusso delle cose e non giudica.
Quando il corpo si sente di voler trovare, nonostante le difficoltà, una sua armonia che è il ritmo giusto unito al movimento giusto e al pensiero giusto.
Quando il respiro si muove dentro e fuori dal corpo in maniera totale, integrale, pienamente e profondamente, e diventa naturalmente la guida della vita.
Quando non c'è più nulla che abbia veramente importanza tranne la pratica e lo sciogliersi nella pratica, il perdersi in un mare di spontaneaità.
Quando la consapevolezza lascia spazio al mondo, agli altri, alla compassione, al distacco e alla serenità.
Quando il solo, unico scopo della pratica è la pratica, e nient'altro.
Allora stiamo praticando vero Qigong.
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